giovedì 11 febbraio 2016

Cortocircuito



Improvvisamente, è successo. Credo sia stato quel corridoio coperto accanto all’aula magna del dipartimento di inglese, traboccante di sedie di plastica rotte, lavagne senza una gamba, ciarpame vario e rifiuti gettati lì come se si trattasse di una discarica adiacente. Non che nel nostro Occidente non esistano luoghi simili. Anzi, la nostra immondizia, che nascondiamo e rimuoviamo in luoghi oscuri come la nostra coscienza, non è meno sordida. Ma in India è diverso. Forse è la contiguità degli opposti, reiterata in modo ossessivo in qualsiasi contesto. O forse è l’apertura sfacciata, la naturalezza con la quale ci si affaccia agli eventi quotidiani della vita. Come dice Thomas Bell a proposito del Nepal, “un apparente caos con molte regole.” Sia come sia, è successo. Non è durato molto, solo un attimo. Un brivido. Una vertigine. Ho spalancato interiormente gli occhi e ho visto l’abisso di ignoranza nel quale, inevitabilmente, ho brancolato nei sette anni di viaggi in Oriente. In che cosa consistesse tale ignoranza, ma soprattutto la nuova condizione, non saprei spiegare. Forse non si tratta di comprensione della mente, ma del cuore. Un percorso che porta dall’innamoramento all’amore?

I sorrisi e l'entusiasmo in India non sono certo rari, ma trovarli in accademia... questo è francamente troppo, anche per chi, come me, è al suo quinto viaggio. E quando apprendiamo a impastarci con ciò che è contrario alle nostre abitudini, allora siamo pronti a valicare una frontiera. Per esempio, ciò che nei nostri convegni chiamiamo catering, un’altra lezione di semplicità, generosità, eleganza: cinque ragazzi e ragazze sorridentissimi intorno ad altrettanti 'secchi' pieni di cose deliziose che vengono servite su un piattino di carta rettangolare, alternativa alla foglia di banano. Il cibo è abbondante, ma non c’è spreco. Tutti, studenti e docenti, mangiano con le mani. Tranne il Sahib, cioè io: Jayasree mi ha portato una forchetta da casa.

La continua sensazione di “scoperta” che mi ha accompagnato in questo viaggio non sarebbe completa senza parlare delle nuove amicizie o di vecchie conoscenze rafforzate e riscoperte. E’ il caso di Jayasree. A lei devo la grande gioia di aver provato, forse per la prima volta da quando vengo in India, la soddisfazione di una sincera e quasi naturale compenetrazione con la cultura locale. Jayasree è una donna colta e intelligente, conservatrice e femminista, orgogliosa e accogliente, mamma rigorosamente tradizionale e critica delle caste. È un mix fra una mia zia di Mondragone e Virginia Woolf, con in più tutte le contraddizioni dell’India. Mi ha raccontato molte storie sul suo lavoro, sui figli, sulle caste e la complessità dei rapporti interreligiosi in Kerala, ma anche sulla sua vita ritirata. E’ stata lei l’artefice del convegno di Ernakulam e a lei devo l’accoglienza incredibile che ho ricevuto.

Durante il convegno al sontuoso Maharaja's College (ne ho scritto in inglese qui) Lakshmi e Gangesh sono le persone che hanno guidato i miei passi nella "Cambridge del Sud", come veniva chiamata da Tagore. Gli edifici coloniali, letteralmente assaliti dalla vegetazione tropicale, sono l'emblema di un'estetica sfiancata dalla natura.
Lakshmi è stata l’organizzatrice materiale del seminario: mi scriveva mail puntuali e quasi deferenti. Mi aspettavo ciò che poi ho incontrato di persona: una donna attraente che come molte indiane ha un atteggiamento al limite del dimesso, ma nella sostanza è risoluta e sicura di sé. Sono spesso le donne, con i loro difetti e le loro virtù, il perno della società keralese. Gangesh sembra impacciato, parla un inglese molto corretto ma mangiandosi le sillabe; all’inizio non mi era molto simpatico perché parlava interrompendo la mia eroina... (Lakshmi), ma poi si è rivelato un uomo colto, acuto, sensibile. Le sue mail sono la cosa più bella che abbia mai ricevuto da un collega... Sarebbero da incorniciare: non solo e non tanto in quanto riuscito panegirico, ma perché mi hanno fatto sentire profondamente compreso nel mio progetto -- che è sia umano sia professionale. Non sarà facile tornare a casa dopo questa sbornia. A parte le carezze dell'ego, questa Cambridge dei tropici mi lascia con una scoperta sensazionale. Qui, dove per un occidentale manca quasi tutto (a cominciare dall'elettricità), l'università ha probabilmente ancora un futuro.