venerdì 18 dicembre 2009

Il genio di Babu


Ancora una volta riprendo a scrivere dopo mesi, stimolato (forse) dai commenti del o della misterios@ "bahra". I motivi di questa lunga pausa sono molteplici, ma comunque una cosa è certa: l'India, nei modi e nelle forme più inaspettate, è entrata sempre di più nella mia vita.

A Sekhar non piace condurre la sua Ambassador per luoghi impervi. E le stradine che scendono ripide nei villaggi turistici intorno a Kovalam non fanno eccezione. A un certo punto non si può proseguire oltre, ma fortunatamente siamo arrivati a Light House, il luogo dell'appuntamento con Babu, il mio "contatto" del Plato Studies Center, la Ong che devo visitare nei prossimi giorni. Ho infatti un'importante missione umanitaria da compiere: la consegna di cinque barattoli di nutella a una scuola di Vizhinjam...

Ho in programma di restare qualche giorno, così prima della visita alla scuola del Plato SC ne approfitto per rilassarmi un po'. Babu è l'uomo dal sorriso più rassicurante che abbia mai visto stampato su volto umano. Tutto in lui, le sue mani, la sua stazza, il suo incedere ciondolante invitano a rilassarsi, a lasciarsi andare. Claudia, gli occhi verdi che mi hanno guidato sin qui, me l'aveva anticipato: fatti accudire da Babu! Così non la faccio tanto lunga e accetto di soggiornare all'hotel dove lavora, che poi è anche il luogo dove risiede l'ufficio del Plato Studies Center. Il Jeevan House è in riva al mare, è tutto dipinto di celeste e ha una piccola piscina al centro molto invitante. Sono reduce da un viaggio faticoso, ma Babu capisce tutto al volo e mi fa sedere sulla bellissima terrazza dell'hotel, alla brezza dell'oceano, mi guarda ed esclama (sempre con quel sorriso meraviglioso e accompagnandosi con un gesto della mano): "relax!". Poi ordina una bibita per me e mi fa, con un accento indo-romano: "come stai?". L'insieme di quelle parole pronunciate in modo sfacciato e quel sorriso, che è un misto di ironia e generosità assoluta, mi fanno sbottare a ridere. Da quel momento Babu sarà per me un fratello e una guida.
Nei giorni e nei mesi successivi (ho rivisto Babu quest'estate in Barbagia, nel rifugio dei miei amici del Centro Studi) capirò che Babu non è solo un sorriso portentoso, ma una sorta di genio della lampada. Non esiste problema che quest'uomo non sia capace di risolvere, dal tirare su un muretto a secco al negoziare complessi conflitti inter-etnici. Quando scoprirò Shantaram (lo stupendo romanzo di Gregory D. Roberts), mi verrà da paragonarlo a Prabaker: ma Babu, alla saggezza e al mitico sorriso della piccola guida di Bombay resa immortale dalla penna di Roberts, associa la solidità e la forza del bene che tutti noi vorremmo sempre avere al nostro fianco.

mercoledì 18 marzo 2009

Il palazzo vivente














(continua dal post precedente)

Poiché il complesso di Padmanabhapuram si estende in larghezza (non si sale più di due piani) la visita è una passeggiata rilassante in un fresca giungla di palissandri, tek e mogani intagliati, levigati, scolpiti. I colori scuri e caldi dell'ambiente favoriscono la concentrazione e a tratti vengo assalito da un senso di riflessiva vertigine, come se i raja di Travancore avessero voluto creare in questo luogo non una delle tante rappresentazioni del potere temporale, ma uno spazio libero da ogni influenza sulla mente. Dunque anche la sontuosità e lo sfarzo sembrano al servizio di un fine superiore e insieme più umano. Per contrasto mi vengono in mente il delirio d'onnipotenza di Versailles o dell'Hermitage, la metafisica del Quirinale o la mistica dell'Escorial. Tutti luoghi che schiacciano l'umano e lo fanno sentire inadeguato e dove l'architettura è metafora, cioè rimando ad altro. Ovunque in occidente viene messo in scena una comparazione con l'esterno - in definitiva un'assenza. Ma qui a Padmanabhapuram tutto si rivolge all'interno, attraverso la luce che viene dolcemente catturata e guidata, come su questi pavimenti neri e lucidissimi (ottenuti con una miscela di gusci di cocco abbrustoliti, sabbia, albume, laterite e calce), che ci rimandano un'immagine sfumata e tremolante dei nostri corpi.


Dopo la stanza del talamo reale, composto da 16 essenze lignee scelte dai medici ayurveda, la visita prosegue nell'elegante sala per le rappresentazioni di musica, teatro e danza, l'unica in pietra con pilastri scolpiti in stile vijayanagara. Ma ormai mi è chiaro che Padmanabhapuram è un'architettura sensuale e vivente, il capolavoro che i raja avevano pensato come luogo di ristoro non solo dei propri corpi, ma delle loro anime.


venerdì 27 febbraio 2009

Palme e martello















Kovalam, 1 novembre 2008

Riprendo la narrazione dopo una lunga interruzione dovuta a rivolgimenti vari della mia vita, forse in parte dovuti anche a questo viaggio. Ma non sono nemmeno a metà e sarebbe un peccato interrompersi. Inevitabilmente, passati ormai più di tre mesi dal mio ritorno, la memoria comincia a incepparsi e a intrecciare il suo filo con le sensazioni attuali. Non l'India di ottobre e novembre, ma l'India di adesso. La memoria non è un deposito ma un atto creativo, un processo di fusione a freddo del tempo passato a uso e consumo del presente.

Da Kanyakumari a Kovalam il viaggio è breve. Sarà anche perché mi sono ripreso, ma l'atmosfera sulle strade mi pare cominci a cambiare. Rispetto al Tamil Nadu, si nota che stiamo entrando in uno stato più ricco e 'ordinato'. Il Kerala infatti è uno degli ultimi posti al mondo dove governano i comunisti. Precisamente dal 1957. Democraticamente eletti. Ancora con questa storia dei comunisti democratici? direte voi. E' vero, non si può mai stare tranquilli. Tra l'altro mi risulta che né Berlusconi né Veltroni l'abbiano mai citato fra gli esempi di "miseria e morte". Forse perché è da sempre uno degli stati più ricchi e progrediti dell'India (il tasso di alfabetizzazione è vicino al 100%)? Oggi molti dicono che il "modello Kerala" sia in crisi, ma io sono notoriamente di parte e mi rilasso osservando che persino il traffico è meno caotico e i paesaggi si ammorbiscono di colline ricoperte di palme e bananeti. Qui e là, discretamente, campeggia qualche bandiera con falce e martello. Insomma il paradiso dei fricchettoni, che qui troverebbero il loro connubio ideale senza dover ricorrere all'eterno ma ormai impresentabile Fidel.

Prima di arrivare a Kovalam c'è tempo per fare una sosta in uno dei più spettacolari complessi architettonici del Kerala e probabilmente di tutta l'India del sud, il palazzo dei raja di Padmanabhapuram. Sekhar mi lascia di fronte l'entrata del palazzo e rimango istantaneamente colpito dalla delicatezza del complesso, una serie di edifici prevalentemente di legno, in uno stile lontano da ciò che normalmente associamo a un'architettura tropicale. Piuttosto la presenza del legno scuro intarsiato e dei tetti spioventi lì per lì mi ricorda un incrocio fra una colonia bavarese e la deformazione disneyana di una pagoda. Confuso ma felice, mi affido alla solida guida del Touring: "Da questa sede sfarzosa i sovrani di Travancore regnarono su un'ampia porzione del territorio keralese tra il XVI e il XVIII sec." Scoprirò poi che in realtà le influenze europee e cinesi non sono affatto estranee al luogo, giacché i sovrani dell'epoca avevano stretti legami commerciali con l'uno e l'altro continente.