Thomas Bell, Kathmandu, Random House, 2014, pp.
50-54.
Così
andai a conoscere un sacerdote buddista della casta dei Vajracharya – un gubaju – perché costoro hanno il potere
e la responsabilità di gestire e mediare questo lato della vita con il mondo
laico. Avevo preparato una pagina intera di domande scritte: che cosa significava
il mandala della città? E’ legato a una divinità particolare? Qual è il
significato del festival di Mataya? (…) Si può ipotizzare che anche un singola
casa sia un mandala? Sarebbe possibile disegnare una mappa della città che non
sia una mappa di strade e piazze (chowk)
ma una mappa delle divinità? Ero affascinato dall’idea che la città avesse un
disegno segreto, ma non potevo comprendere quale potesse essere la natura e il
significato di un tale schema. Perciò non sapevo bene che cosa domandargli.
Il
gubaju viveva in una stanza in cima a
delle scale vicino la stazione dei bus di Lagankhel. Il passaggio che portava
alle strette scale era ingombro di scatole delle stesse stoviglie e contenitori
in vendita sul marciapiede all’esterno. I muri della stanza erano quasi
interamente coperti di immagini di divinità e scene di vita quotidiana che
sembravano essere state ritagliare da riviste o calendari. In particolare evidenza
c’erano alcune grandi foto che lo ritraevano con la tonaca, in speciali posture
e con un grande disco solare inserito dietro la testa da qualche studio
fotografico. Appesa al davanzale c’era una gabbia di ferro con due colombe
bianche. Era un autunno fresco e luminoso e il gubaju aveva le finestre aperte. Nella registrazione
dell’intervista si sente il vocio costante degli autisti dei bus e dei
commercianti all’esterno. Il gubaju viaggiava
sull’ottantina e sedeva per terra con le gambe incrociate. Rovistò fra pile di
carte e mi porse un mandala della dea Durga con in calce un testo sanscrito; un
testo in lingua Newari da lui composto sui danni della società moderna e i
rituali che li avrebbero emendati; una lista di quarantanove luoghi sacri della
Valle che aveva visitato e i loro giorni sacri; una storia del suo più illustre
antenato, un tantrista che aveva compiuto atti magici. Parlava sogghignando e
tirandosi le gambe più strette intorno a sé. Gli chiesi del mandala della
città. “Nei tempi antichi”, disse, “la Valle di Kathmandu era un lago e quella fu
un’età d’oro. Nell’Era di Treta, il bodhisatva Manjushree tagliò la montagna e
l’acqua defluì via. Solo allora le persone cominciarono ad abitarvi.” Questo lo
sapevo già. Gli chiesi ancora del Mandala e disse: “È come un mandala e il centro è Gujeswhori. In qualsiasi direzione
si proceda da lì, est, ovest o altrove, sono 7 kos [14 miglia]. Il popolo
celebra il giorno in cui Manjushree tagliò la montagna nel decimo giorno della
luna calante di Mangshir.” Prese i suoi diagrammi e me li mostrò. Lo pressai
ancora. “In effetti non abbiamo parlato in dettaglio del mandala”, ammise “Include
ogni cosa, uccelli, animali, esseri umani, tutto, ma non ci è permesso
spiegarlo. La prima divinità che creata fu Gujeswhori, che è sia maschio sia
femmina e iniziò a creare le altre creature. Tutte le altre creature sono
venute fuori da Gujeswhori.” Lo seguivo a malapena. Sapevo che a Gujeswhori c’è
un buco nel terreno, orlato di petali di pietra, che è in qualche modo legato
al potere femminile. Si trova da qualche parte vicino al centro della valle. Ma
non ero sorpreso dalla sua riservatezza, perché avevo letto che i gubaju rivelano la verità della
religione solo all’iniziato – ed era fuori discussione che sarebbe mai stata
rivelata al sottoscritto.
Fummo
interrotti da una donna che era venuta con i suoi due figli per consultarlo come
guaritore o mago. Si lamentava che i suoi figli non andavano bene a scuola. Il gubaju prescrisse alcuni riti. Lei toccò
con la testa i suoi piedi e lo pagò con una piccola busta di plastica
contenente qualcosa che sembrava farina. Quando se ne fu andata, provai una
nuova tattica e gli chiesi delle Otto Dee Madri i cui templi sono disposto ad
anello intorno alla città. “Le Otto Dee Madri sono fuori, non dentro la città”,
disse. “È possibile spiegare fino alle Otto Dee Madri, ma il mandala
all’interno del circolo delle Otto Dee Madri non è possibile spiegarlo. Otto è
un numero molto significativo. [Le Dee] Sono lì per proteggere le persone dalle
malattie, dal fuoco, dall’acqua e così via. Queste Dee sono poste nelle otto
direzioni.”
Parlò
di molte cose. Tentai di tenerlo su ciò che pensavo fosse il punto e di seguire
la lista delle mie domande, ma per quanto gli desse peso, gli avrei potuto anche
domandare “quanti hamburger fanno un mercoledì?” e sarebbe stato uguale.
Disegnai un diagramma di cerchi concentrici come l’avevo visto in un libro che
rappresentava la posizione degli edifici più importanti del centro della città
e dei meno importanti nei sobborghi. “In passato”, disse, “se eri di alto rango
andavi vicino al centro, se eri povero e di basso rango dovevi spostarti fuori
della città. Il re, il palazzo, è nel centro e vicino il palazzo vi sono le
persone di alto rango.” “Forse aveva a che fare con i prezzi dei terreni?”,
chiesi. Mi ignorò. “Nel centro si trovano gli dei e le dee. Nel successivo yoni[1]
vengono… come dire? … ci sono gli spiriti. Poi vengono gli yoni umani. Poi viene lo yoni
demone, poi lo yoni animale. Il posto
più lontano è Narka. Narka è l’inferno. In tutto vi sono sei yoni”, aggiunse, notando che ne avevo
disegnati solo cinque. Il gubaju stese per terra un mandala differente. “Questo
è semplificato”, assicurò, “È rappresentato un numero limitato di divinità –
qui sono sessantaquattro. Più si va in profondità, più vi sono divinità.” “Non
so di Kathmandu, ma conosco in dettaglio l’area di Patan.”, disse. “Ho avuto
una disputa con i sacerdoti di Kathmandu. Dicono che non conosco le cose di
Kathmandu, ma quando abbiamo avuto dibattiti sulla religione li ho sconfitti
molte volte, perché ho fatto ricerche su questo mandala che loro non hanno
fatto.”
Me
ne andai quando il vecchio ebbe parlato quanto voleva e ricordo in quel momento
il mio disappunto per non aver ricevuto una spiegazione più chiara, magari
simile a un qualche tipo di mappa. Oggi mi sembra di aver ricevuto un racconto
chiaro quanto le mie aspettative. E per quanto valesse, possedevo già un libro
con la traduzione della liturgia che usano i gubaju che descriveva il mandala della Valle.
(…) Quando un gubaju inizia un rito recita in
sanscrito: OM,
oggi nel periodo del Realizzato, Leone dei Sakya… nell’era di Kali…
nell’Himalaya… nella terra di Nepal… dove scorrono i quattro grandi fiumi…
adornati con i dodici sacri luoghi di abluzione… circondata dalle montagne… Le
Otto Madri, gli Otto Bhairava… sulla sponda sud del Bagmati… nella città di
Lalipattana [Patan], nel regno di Aryavalokitesvara…
Lavorandoci
in profondità, si potrebbe tradurre così: al centro c’è la divinità buddista Chakrasamvara,
circondata da quattro dee e quattro dei delle Direzioni. Poi ci sono i tre
circoli di fiori di loto, fulmini e fiamme. In vita, il palazzo del re sta nel
centro. Egli non è esattamente un dio, ma chiunque può incarnare aspetti del
divino e nel caso del re egli incarna aspetti dei più alti dei del cielo. Il
suo palazzo è circondato dai templi dei grandi dei indù. Essi ricevono dai sacerdoti
bramini offerte di puro cibo vegetariano e senza alcool. Le famiglie nobili e i
sacerdoti vivono nelle vicinanze del palazzo e le varie altre caste si
distribuiscono all’interno della città. Ciascuna casta ha le proprie affinità
con divinità differenti, a seconda della sua natura e della sua occupazione.
Nei ranghi intermedi del sistema delle caste, per esempio, gli uomini Jyapu (la
casta dei contadini) hanno affinità con Bhairab, Shiva nel suo aspetto feroce,
che è anche associato con la birra. Le donne Jyapu hanno affinità con Hariti,
la divinità buddista del vaiolo, che ha potere sui bambini, dunque agiscono
come levatrici. Nelle periferie della città le caste basse praticano attività meno
pulite, come la macellazione o la fabbricazione di tamburi, o occupandosi di
riti funerari, assorbono l’inquinamento per conto della comunità, permettendo alle
caste alte di rimanere pure. I margini esterni del mandala, ovvero le aree
escluse dalla normale vita della città, sono la terra dei morti. I macellai
possono vivere all’interno, ma la casta dei Pode, che puliscono gli escrementi,
devono vivere all’esterno, dove vivono anche i demoni e le streghe e dove i
fantasmi aleggiano numerosi nelle risaie. Questi sono il ricettacolo di ogni cattivo
auspicio, di ogni inquinamento, degrado e sporcizia della città e la loro
affinità è con i più bassi e infimi spiriti. I luoghi di cremazione sono vicino
le loro case, ciascuna associata a una Dea Madre nei confronti della quale i
Pode attuano da sacerdoti. Le dee ricevono sacrifici di sangue e offerte di alcool.
Come i bramini sacerdoti degli dei superiori sono essi stessi puri e superiori,
così gli intoccabili possono avere grandi e spaventosi poteri, come le divinità
bevitrici di sangue alle quali officiano. Nelle aree selvagge intorno ai
margini del mandala vi è un anello di teschi.
Il
mandala è più di una mappa della città. È un’ideologia sociale e politica, una
descrizione dell’ordine dell’universo che è riprodotto in una città
correttamente strutturata, qui, sulla terra.
(trad.
Domenico Fiormonte)
[1] Yoni è un termine sanscrito e nella filosofia indiana rappresenta
la parte femminile della divinità.