domenica 13 dicembre 2015

In visita al Gubaju



Thomas Bell, Kathmandu, Random House, 2014, pp. 50-54.

Così andai a conoscere un sacerdote buddista della casta dei Vajracharya – un gubaju – perché costoro hanno il potere e la responsabilità di gestire e mediare questo lato della vita con il mondo laico. Avevo preparato una pagina intera di domande scritte: che cosa significava il mandala della città? E’ legato a una divinità particolare? Qual è il significato del festival di Mataya? (…) Si può ipotizzare che anche un singola casa sia un mandala? Sarebbe possibile disegnare una mappa della città che non sia una mappa di strade e piazze (chowk) ma una mappa delle divinità? Ero affascinato dall’idea che la città avesse un disegno segreto, ma non potevo comprendere quale potesse essere la natura e il significato di un tale schema. Perciò non sapevo bene che cosa domandargli.
Il gubaju viveva in una stanza in cima a delle scale vicino la stazione dei bus di Lagankhel. Il passaggio che portava alle strette scale era ingombro di scatole delle stesse stoviglie e contenitori in vendita sul marciapiede all’esterno. I muri della stanza erano quasi interamente coperti di immagini di divinità e scene di vita quotidiana che sembravano essere state ritagliare da riviste o calendari. In particolare evidenza c’erano alcune grandi foto che lo ritraevano con la tonaca, in speciali posture e con un grande disco solare inserito dietro la testa da qualche studio fotografico. Appesa al davanzale c’era una gabbia di ferro con due colombe bianche. Era un autunno fresco e luminoso e il gubaju aveva le finestre aperte. Nella registrazione dell’intervista si sente il vocio costante degli autisti dei bus e dei commercianti all’esterno. Il gubaju viaggiava sull’ottantina e sedeva per terra con le gambe incrociate. Rovistò fra pile di carte e mi porse un mandala della dea Durga con in calce un testo sanscrito; un testo in lingua Newari da lui composto sui danni della società moderna e i rituali che li avrebbero emendati; una lista di quarantanove luoghi sacri della Valle che aveva visitato e i loro giorni sacri; una storia del suo più illustre antenato, un tantrista che aveva compiuto atti magici. Parlava sogghignando e tirandosi le gambe più strette intorno a sé. Gli chiesi del mandala della città. “Nei tempi antichi”, disse, “la Valle di Kathmandu era un lago e quella fu un’età d’oro. Nell’Era di Treta, il bodhisatva Manjushree tagliò la montagna e l’acqua defluì via. Solo allora le persone cominciarono ad abitarvi.” Questo lo sapevo già. Gli chiesi ancora del Mandala e disse: “È come un mandala e il centro è Gujeswhori. In qualsiasi direzione si proceda da lì, est, ovest o altrove, sono 7 kos [14 miglia]. Il popolo celebra il giorno in cui Manjushree tagliò la montagna nel decimo giorno della luna calante di Mangshir.” Prese i suoi diagrammi e me li mostrò. Lo pressai ancora. “In effetti non abbiamo parlato in dettaglio del mandala”, ammise “Include ogni cosa, uccelli, animali, esseri umani, tutto, ma non ci è permesso spiegarlo. La prima divinità che creata fu Gujeswhori, che è sia maschio sia femmina e iniziò a creare le altre creature. Tutte le altre creature sono venute fuori da Gujeswhori.” Lo seguivo a malapena. Sapevo che a Gujeswhori c’è un buco nel terreno, orlato di petali di pietra, che è in qualche modo legato al potere femminile. Si trova da qualche parte vicino al centro della valle. Ma non ero sorpreso dalla sua riservatezza, perché avevo letto che i gubaju rivelano la verità della religione solo all’iniziato – ed era fuori discussione che sarebbe mai stata rivelata al sottoscritto.
Fummo interrotti da una donna che era venuta con i suoi due figli per consultarlo come guaritore o mago. Si lamentava che i suoi figli non andavano bene a scuola. Il gubaju prescrisse alcuni riti. Lei toccò con la testa i suoi piedi e lo pagò con una piccola busta di plastica contenente qualcosa che sembrava farina. Quando se ne fu andata, provai una nuova tattica e gli chiesi delle Otto Dee Madri i cui templi sono disposto ad anello intorno alla città. “Le Otto Dee Madri sono fuori, non dentro la città”, disse. “È possibile spiegare fino alle Otto Dee Madri, ma il mandala all’interno del circolo delle Otto Dee Madri non è possibile spiegarlo. Otto è un numero molto significativo. [Le Dee] Sono lì per proteggere le persone dalle malattie, dal fuoco, dall’acqua e così via. Queste Dee sono poste nelle otto direzioni.”
Parlò di molte cose. Tentai di tenerlo su ciò che pensavo fosse il punto e di seguire la lista delle mie domande, ma per quanto gli desse peso, gli avrei potuto anche domandare “quanti hamburger fanno un mercoledì?” e sarebbe stato uguale. Disegnai un diagramma di cerchi concentrici come l’avevo visto in un libro che rappresentava la posizione degli edifici più importanti del centro della città e dei meno importanti nei sobborghi. “In passato”, disse, “se eri di alto rango andavi vicino al centro, se eri povero e di basso rango dovevi spostarti fuori della città. Il re, il palazzo, è nel centro e vicino il palazzo vi sono le persone di alto rango.” “Forse aveva a che fare con i prezzi dei terreni?”, chiesi. Mi ignorò. “Nel centro si trovano gli dei e le dee. Nel successivo yoni[1] vengono… come dire? … ci sono gli spiriti. Poi vengono gli yoni umani. Poi viene lo yoni demone, poi lo yoni animale. Il posto più lontano è Narka. Narka è l’inferno. In tutto vi sono sei yoni”, aggiunse, notando che ne avevo disegnati solo cinque. Il gubaju stese per terra un mandala differente. “Questo è semplificato”, assicurò, “È rappresentato un numero limitato di divinità – qui sono sessantaquattro. Più si va in profondità, più vi sono divinità.” “Non so di Kathmandu, ma conosco in dettaglio l’area di Patan.”, disse. “Ho avuto una disputa con i sacerdoti di Kathmandu. Dicono che non conosco le cose di Kathmandu, ma quando abbiamo avuto dibattiti sulla religione li ho sconfitti molte volte, perché ho fatto ricerche su questo mandala che loro non hanno fatto.”
Me ne andai quando il vecchio ebbe parlato quanto voleva e ricordo in quel momento il mio disappunto per non aver ricevuto una spiegazione più chiara, magari simile a un qualche tipo di mappa. Oggi mi sembra di aver ricevuto un racconto chiaro quanto le mie aspettative. E per quanto valesse, possedevo già un libro con la traduzione della liturgia che usano i gubaju che descriveva il mandala della Valle. 

(…) Quando un gubaju inizia un rito recita in sanscrito: OM, oggi nel periodo del Realizzato, Leone dei Sakya… nell’era di Kali… nell’Himalaya… nella terra di Nepal… dove scorrono i quattro grandi fiumi… adornati con i dodici sacri luoghi di abluzione… circondata dalle montagne… Le Otto Madri, gli Otto Bhairava… sulla sponda sud del Bagmati… nella città di Lalipattana [Patan], nel regno di Aryavalokitesvara…


Lavorandoci in profondità, si potrebbe tradurre così: al centro c’è la divinità buddista Chakrasamvara, circondata da quattro dee e quattro dei delle Direzioni. Poi ci sono i tre circoli di fiori di loto, fulmini e fiamme. In vita, il palazzo del re sta nel centro. Egli non è esattamente un dio, ma chiunque può incarnare aspetti del divino e nel caso del re egli incarna aspetti dei più alti dei del cielo. Il suo palazzo è circondato dai templi dei grandi dei indù. Essi ricevono dai sacerdoti bramini offerte di puro cibo vegetariano e senza alcool. Le famiglie nobili e i sacerdoti vivono nelle vicinanze del palazzo e le varie altre caste si distribuiscono all’interno della città. Ciascuna casta ha le proprie affinità con divinità differenti, a seconda della sua natura e della sua occupazione. Nei ranghi intermedi del sistema delle caste, per esempio, gli uomini Jyapu (la casta dei contadini) hanno affinità con Bhairab, Shiva nel suo aspetto feroce, che è anche associato con la birra. Le donne Jyapu hanno affinità con Hariti, la divinità buddista del vaiolo, che ha potere sui bambini, dunque agiscono come levatrici. Nelle periferie della città le caste basse praticano attività meno pulite, come la macellazione o la fabbricazione di tamburi, o occupandosi di riti funerari, assorbono l’inquinamento per conto della comunità, permettendo alle caste alte di rimanere pure. I margini esterni del mandala, ovvero le aree escluse dalla normale vita della città, sono la terra dei morti. I macellai possono vivere all’interno, ma la casta dei Pode, che puliscono gli escrementi, devono vivere all’esterno, dove vivono anche i demoni e le streghe e dove i fantasmi aleggiano numerosi nelle risaie. Questi sono il ricettacolo di ogni cattivo auspicio, di ogni inquinamento, degrado e sporcizia della città e la loro affinità è con i più bassi e infimi spiriti. I luoghi di cremazione sono vicino le loro case, ciascuna associata a una Dea Madre nei confronti della quale i Pode attuano da sacerdoti. Le dee ricevono sacrifici di sangue e offerte di alcool. Come i bramini sacerdoti degli dei superiori sono essi stessi puri e superiori, così gli intoccabili possono avere grandi e spaventosi poteri, come le divinità bevitrici di sangue alle quali officiano. Nelle aree selvagge intorno ai margini del mandala vi è un anello di teschi.
Il mandala è più di una mappa della città. È un’ideologia sociale e politica, una descrizione dell’ordine dell’universo che è riprodotto in una città correttamente strutturata, qui, sulla terra.

(trad. Domenico Fiormonte)


[1] Yoni è un termine sanscrito e nella filosofia indiana rappresenta la parte femminile della divinità.

Un mandala per Parigi e Kathmandu


Ho quasi fatto pensiero-forma. In partenza per l’India, all’aeroporto di Kathmandu, incontro tre ragazze messicane che prendono anche loro una coincidenza da Delhi. Me lo sono trovate anche vicine in fila (siamo partiti con più di due ore di ritardo), ma solo a Delhi non ho resistito e ho attaccato bottone: sono tre antropologhe! Non resisto e domando: “ma nepalesi e messicani non sono incredibilmente simili?” “Sì!” Mi rispondono, e indicando la più “india” delle tre ridono: “temevamo che a lei non la facessero partire…” Ma questa somiglianza è molto di più di una caratteristica somatica. Equivale a un messaggio: “sei sulla strada giusta”. Messico e Nepal sono state le tappe più importanti di questo anno sabbatico. Come racconterò più avanti, tra Kathmandu e Kochi, le profonde e destabilizzanti esperienze di questo anno hanno fatto corto circuito. Ci lasciamo scambiandoci gli indirizzi e una di loro mi regala una forcina per riparare il manico del trolley… Un gesto di delicatezza e intelligenza come solo può accadere nei fantastici “sud” del mondo, allenati ad arrangiarsi.

Un mandala per Parigi e Kathmandu

Parigi e Kathmandu hanno molti legami segreti. A volte magici. Per scoprire alcuni di questi segreti si può iniziare leggendo quello scioccante libro che è Flash, di Charles Duchaussois. Eppure non avrei pensato di poter assistere, almeno nella mia mente, al cortocircuito di queste due realtà.

Gli attentati di Parigi mi hanno colto nel viaggio fra Kathmandu e Kochi, dove sono arrivato la notte del 13 novembre. La mattina dopo ho ricevuto un sms: “hai visto quello che è successo a Parigi?” Stavolta la distanza dall'Europa, invece di attutire, ha amplificato ancora di più l'emozione, perché quanto ci siamo detti o meglio abbiamo ascoltato in questo mese da Viola non poteva non avere su di me l'effetto di: de te fabula narratur, questo racconto, per quanto dell'orrore, parla di noi. E dunque ecco apparire in tutt'altra prospettiva le scuotenti 'colazioni' nepalesi, in cui il furore di Viola appare oggi il grido disperato di chi cerca di svegliarci nel cuore della notte, mentre la casa brucia. Mi vergogno, ancora una volta, di non aver compreso la profondità e la vastità delle connessioni e delle implicazioni di questo "grido". Guardate quelle immagini e quei morti, non solo il numero ma il valore simbolico dei luoghi (tutto ciò accade dove nasce la "modernità" occidentale) e capirete perché una donna si sveglia tutte le mattine incapace di accettare l'ottusità umana. E dunque ci tiene inchiodati per due ore, con le fette di pane in mano, il caffè di traverso, il burro che si scioglie al sole. E non si arrende mai, ci parla, anche se sul volto le leggiamo una stanchezza e una fatica che fa paura, soprattutto a noi che non l'abbiamo mai nemmeno sfiorata. E ci stupiamo, e infastidiamo insieme, della sua forza, del suo coraggio, del suo caparbio rifiuto dello status quo. Perché lo fa? Perché non la smette? Chissà quante volte lo abbiamo pensato, con la faccia torta per non soffrire.

Dobbiamo capire che non può esistere soluzione possibile se non accettiamo di cambiare. Parigi, a distanza di meno di un anno, ci mostra ancora la nostra condizione attuale, quella di una apocalisse a puntate. Ma è la nostra apocalisse e ci siamo dentro non solo con i nostri corpi. Di tutte, forse questa è la verità più difficile da digerire per un occidentale.

Di che cosa altro abbiamo bisogno? Non chiedetemi come o che cosa. Non ho risposte -- nessuno ne ha. Ciascuno, in cuor suo, a questo punto del percorso conosce i propri nodi e i propri anatemi. Ciò che però non è assolutamente più tollerabile è perpetuare la nostra condizione di sonno.


P.S. Pubblico qui un piccolo regalo: è la mia traduzione di un passo del libro Kathmandu di Thomas Bell. Kathmandu 2015, con le sue macerie e i suoi mandala per la festività di Dewali, mi ha lasciato una profonda ferita d'amore, come non era successo in tanti anni. Viola ci ha spesso tentato di parlare del significato spirituale del Nepal e di questa città. A livello per così dire "superficiale", oltre all'incontro fra Oriente e Occidente, fornisce una chiave di lettura, come sempre parziale, per avvicinarci alla profonda diversità di questa cultura, nonché alla sua complessa, stratificata spiritualità. Ma il dialogo che vi propongo a mio parere contiene moltissimi elementi del discorso che abbiamo intessuto insieme in questo mese.