sabato 29 novembre 2008

Il monaco e l'asceta




Kanyakumari, 31 ottobre 2008

Il mal di gola e un senso generale di malessere mi hanno accompagnato durante tutto il lungo viaggio in auto da Madurai a Kanyakumari, la cuspide estrema dell'India, dove i tre mari che bagnano il continente s'incontrano e si mescolano: Golfo del Bengala, Oceano Indiano, Mar Arabico. Qui giungono pellegrini da tutto il paese per ammirare l'alba e il tramonto che, caso assai raro, possono essere ammirati da un unico punto di osservazione. Ho bisogno di una pausa dopo le frettolose e impervie visite di Trichy e Tanjavur e sono fortunato perché il Vivekananda Kendra, l'ashram dedicato al mistico e filosofo bengalese, offre camere con bagno pulite e accoglienti. Il Kendra è una sorta di villaggio-comunità immerso in un grande parco. Al centro c'è una scuola, una mensa, qualche negozietto e un comodo internet point, dal quale scrivo. Il collegamento con la piccola cittadina è assicurato da un bus che fa la spola avanti e indietro ogni 15-20 minuti. Sembra il posto ideale per rilassarsi un paio di giorni e infatti dopo un breve passeggiata allo scopo (fallito) di vincere lo stordimento, rientro nella mia stanza e crollo. Non ho ancora scritto che l'unica sicurezza che ho trovato in India, in qualunque posto dove ho dormito, anche il più improbabile, sono i letti: materassi bassi e duri appoggiati quasi sempre su tavole o anche su pietra. Un toccasana per la mia schiena...

L'indomani l'alba è annunciata dall'isterico stridore degli uccelli ancora prima della campana dell'ashram. Mi vesto e mi dirigo verso la spiaggia, trovandola già presidiata da scolaresche e venditori di chai. Sono l'unico turista bianco e com'è prassi vengo fatto oggetto di domande e offerte varie. Il chiarore del cielo quasi fa pensare che il sole sia già alto e dunque la sorpresa è doppia quando appare l'enorme disco piallato all'orizzonte. Le voci degli indiani sulla spiaggia si affievoliscono e per un secondo anche i cani randagi smettono di tormentarsi la schiena sulla sabbia, contemplando il sorgere del mondo.

Al ritorno penso a quanto questo luogo sia diverso dall'Ashram di Ramana Maharshi a Tiruvannamalai, ma anche a come l'atmosfera e il ritmo siano comparabili. Vivekananda e Ramana in un certo senso rappresentano i due paradigmi della spiritualità indiana: l'asceta che vive nella grotta e il monaco errante. Per quanto le analogie siano qui particolarmente arbitrarie, si potrebbe forse trovare un parallelismo cristiano fra lo spirito dei francescani e quello - per esempio - dei missionari cappuccini.

Anche i luoghi dedicati ai due santi riflettono in fondo la complementare diversità dei due messaggi, entrambi radicati nel Vedanta. Il Kendra, con i suoi viali alberati che sboccano nel triplice mare, è una consapevole metafora topografica del messaggio di Swami Vivekananda, tutto proteso verso l'esterno. E' noto l'impegno del monaco bengalese in campo sociale (le scuole a lui dedicate in tutto il paese ne sono un esempio), nonché il suo grande sforzo ecumenico, esemplificato dal famoso discorso di Chicago, pronunciato al Parlamento Mondiale delle Religioni l'11 settembre 1893. Tanto il Kendra, con il suo museo iconografico, il centro culturale, gli edifici ampi e accoglienti invita all'apertura e all'esplorazione, tanto l'ashram di Sri Bhagavan, costruito ai piedi della montagna sacra Arunachala dove Ramana meditò per oltri venti anni, è uno scrigno che riflette la profondità interiore, il raccoglimento, la contemplazione. Ciò che conquista dell'India è precisamente questo movimento plurale dello spirito: l'uno, al termine di un lungo percorso fatto di meditazione e Yoga, ma anche di contatto compassionevole con gli uomini, punta il dito sulle contraddizioni sociali e invita il popolo indiano a risollevarsi; l'altro, sereno e impassibile, punta il dito verso il self, il sé, il primo e l'ultimo luogo dell'uomo, baricentro dell'universo. Comprendere che non v'è contraddizione fra il grande oratore che sprona all'azione e l'eremita quasi muto che invita alla "rimozione" del mondo fenomenico, è l'essenza stessa della filosofia Advaita-Vedanta.

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